NOI di Jordan Peele Recensione (film)

Ciao a tutti, oggi vi parlo di Noi un film particolare: un thriller-horror psicologico che non può non essere visto dagli amanti del genere

Noi: Jordan Peele

Scheda

Trama: Noi

Ambientato sulla costa della Carolina del Nord, “Noi” narra di un’allegra famiglia afroamericana in vacanza in una vecchia casa di proprietà. Come incipit delle visioni di Peele partiamo sempre, come nel precedente successo, da una serena cornice comune che crea un clima disteso, ma che improvvisamente viene interrotta da un elemento minaccioso e inaspettato.

In questo caso Adelaide, (Lupita Nypong’o) moglie di Gabe (Winston Duke) e madre di famiglia, è vittima di un trauma giovanile inspiegabile e irrisolto, che la porta, in un crescendo di paranoie, alla netta sensazione di un pericolo imminente per i suoi cari che si manifesta una sera, al calare delle tenebre. In fondo al vialetto della sua casa appaiono misteriosi e inquietanti avversari: quattro persone vestite di rosso che si tengono per mano, esteticamente identiche ai rispettivi componenti del nucleo familiare, terrificanti e psicopatici doppelganger.

Opinione Personale: Noi

Il 25 maggio 1986 milioni di americani si presero per mano, formando una catena umana che abbracciò gli Stati Uniti interamente da un polo all’altro, HANDS ACROSS AMERICA, cosi si chiamava questa manifestazione a scopo “benefico”, che suscitò una forte partecipazione da parte della collettività. Da questa vicenda e, soprattutto, dai suoi lati oscuri parte Jordan Peele per generare la sua seconda pellicola dopo “Get Out”, in cui scopriamo che il nostro peggior nemico siamo proprio noi stessi.

Il film si apre con un’immagine evocativa di conigli in gabbia, una bambina allo “specchio” e un’apparentemente tranquilla vacanza nella casa estiva di una famiglia afroamericana, con lo spettro di un trauma d’infanzia.

“US”, titolo originale con il doppio significato di noi stessi e Stati Uniti d’America, è un opera inquietante, spietata e terrificante, densa di riferimenti cinefili e debiti verso i “maestri”, partendo da Kubrick ed il suo onnipresente “Shining”, a Terry Gilliam e alla sua estraneità onirica ma ragionata, a Dario Argento nella scansione delle scene operata da una musica incalzante e mirata e nella colorimetria dei quadri scenici, dominati dal blu, rosso e giallo, per chiudere con l’ultimo Lanthimos e la scena finale de “La favorita”, emblema di una gabbia mentale e della strumentalizzazione a cui siamo sottoposti in un eterno conflitto tra noi e gli “altri”.

La prima inquadratura, il vero indizio, ritrae un’America utopica, coesa e scevra di conflitti sociali in un’immagine di pura “propaganda”. Dopo ci si sposta in un luna park sulla spiaggia di Santa Cruz, con una bambina smarrita e un gioco “La foresta di Merlino – Trova te stesso” dove basta guardarsi nel proprio riflesso per trovare il vero nemico, in un paese simbolo delle disuguaglianze, seppur occultate. Dopo i titoli ritroviamo la bambina divenuta adulta, Adelaide, magistralmente interpretata da Lupita Nyong’o e costretta a tornare su quella spiaggia, scenario del suo incubo del passato che tutto incupisce.

Alla sera la paura incombente si materializza nella sagoma di cinque estranei, veri doppelganger della famiglia, che si tengono per mano in cima al vialetto.
É l’inizio della fine.

“Quando punti il dito contro qualcuno, hai tre dita puntate contro di te” recita una battuta del film ed ecco snodarsi il confronto tra l’ombra e la bambina, in un monologo del rancore tra Adelaide e Red, il suo doppio, l’unica “copia” in grado di parlare, identica all’originale, ma dallo sguardo straniante e segnato dalla violenza. Duplicati che sono all’apparenza perfettamente uguali, ma che sembrano non avere anima e non sanno comunicare, esprimendosi solo in maniera goffa e con lamenti monocorde. E si capisce che i sosia sono degli emarginati che hanno vissuto di scarti da sempre, nascosti alla e dalla società, incarnazione di scelte sbagliate. Alla domanda della protagonista “Chi siete?” le viene risposto “siamo americani”, la raffigurazione del nemico, vestito di rosso e armato di forbici, che però non va cercato oltreconfine, ma in se stessi, il lato oscuro della terra dei sogni, che ha antiche origini, partendo da tunnel dall’uso sconosciuto, che si estendevano sotto l’intero sottosuolo.

Un film stratificato e denso, che valica i confini dell’horror e li amplifica, con ambivalenze, citazioni e tessuto storico, cinematografico e non solo, dominato da un gioco coreografico e scenografico con quadri fotografici a tinte cupe che ricordano la profondità dei “chiaroscuri” del Caravaggio, in un duplice significato dal sapore beffardo, ma amaro.

Un’idea dominante, simbolo dell’ingiustizia, vecchia come il mondo e universale, che genera conflitto, in una lotta disperata senza colore e senza vincitori, ma solo vinti, parafrasando Jordan Peele con la citazione “nascosta” che apre la sua pellicola “Perciò, così parla l’Eterno: ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò”

In conclusione

Tutto questo rende Noi Un teatrale tuffo nei meandri più inquietanti del nostro inconscio, inquietante e mai banale o scontato

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